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Coro Pop Salerno – Tammurriata Nera

Passeggiando per Salerno mi imbatto nel Coro Pop diretto da Ciro Caravano, voce storica dei Neri Per Caso, che interpreta in maniera fantastica la storica Tammurriata Nera 🙂

Inutile dirlo: sono proprio bravi!

ll Coro Pop dell’Università di Salerno nasce nel 2006 per iniziativa dell’Associazione Musicateneo, sotto la direzione del M° Ciro Caravano (noto al pubblico come uno dei cantanti, nonché produttore, arrangiatore e direttore, del gruppo vocale Neri per Caso) e il coordinamento del prof. Paolo Coccorese.
Nei propri concerti il gruppo, che consta numerosi cantanti provenienti a vario titolo dall’Ateneo salernitano, esegue brani celebri di musica leggera italiana ed internazionale, rielaborati, rivisti e riarrangiati in modo originale dallo stesso direttore in chiave “a cappella”.
Accanto al desiderio di fare musica con impegno e passione in un’atmosfera complice e allegra, il Coro Pop si propone di rivisitare, attraverso nuove chiavi di lettura, alcuni famosi brani pop, esaltandone l’originalità dei motivi e la ricchezza dell’armonia.

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La #cookielaw all’italiana

Il 3 giugno 2015 verrà ricordato come l’armageddon della tutela della privacy, il giorno dell’apocalisse della profilazione, il momento in cui i BISCOTTI presero il potere!

Tuttavia poi basta andarsi a fare un giro sui sito web delle nostre istituzioni e ci si rende conto che se non si sono adeguati loro forse tutto questo sbattimento è alquanto ingiustificato 🙂

www.interno.gov.it/it
www.garanteprivacy.it
www.quirinale.it
www.europa.eu
www.Trenitalia.com
www.mef.gov.it (ATTENZIONE questa è bella e può fare scuola 😀 qui il bannerino c’è ma non hanno anonimizzato Google Analytics e quindi non vengono bloccati preventivamente i cookie di profilazione)
– e via così come sopra

Insomma la solita cosa all’italiana, un casino tremendo, chi si adegua e chissenefraga! alcuni si gettano dalla finestra, altri che cercano di racimolare qualche spicciolo lucrando sull’ansia e l’ignoranza, altri spengono tutto e si danno all’ippica.

Alla fine il risultato è che si tratta di la cookielaw è una normativa inutile se applicata (male) in questo modo e che non tutela la privacy ma va solo a rendere ancor più caotico un mondo che – tra Digital Guru (che a stento sanno accendere un computer), Fuffa Agency (che vendono pure la nonna in carriola) ed esperti del digitale (inteso come Mediaset Premium) – quest’altra corazzata Potemkin se la sarebbe risparmiata volentieri.

(Tratto dal libro bestseller “Come rovinare l’unico settore in enorme crescita in un paese che di problemi veri ne ha fin troppi e questo, cari miei, non lo era affatto!“)

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La responsabilità ci rende migliori

L’ammissione delle proprie responsabilità non funziona. Molto meglio mentire, confermare il falso, trovare melliflue scuse, inventare storie, ammiccare con sorrisi sornioni e dire “non sono stato io”. Va così.
Per caso in settimana mi sono imbattuto in questa frase di Rudy Bandiera di qualche tempo fa, molto forte, emotiva, scritta di pancia e con la rabbia di chi non accetta le ingiustizie, ma soprattutto l’ipocrisia e la falsità. E mi ha colpito molto.
Mi è rimasta dentro, l’ho portata con me e mi ha spinto a riflettere sul perché l’uomo medio (io, tu, il tuo amico) non riesce ad assumersi le proprie responsabilità.

Violare gli accordi, attestare il falso, parlare alle spalle degli altri, trafficare nel torbido per raggiungere i propri obiettivi, appagare il proprio ego o ancora tentare di rovinare la vita a qualcuno sono comportamenti che possiamo riscontrare ogni giorno osservando chi abbiamo intorno.

ATTENZIONE

Anche io ho dei limiti, anche tu che mi stai leggendo così commetti degli errori, anche il tuo amico (degnissima persona) ha dei difetti: l’importante è rendersene conto e assumersi le responsabilità delle proprie azioni.

Ed ecco che torniamo al post di Ruby, cco che torniamo alla responsabilità.
Non esistono uomini giusti e perfetti, ed uomini sbagliati ed imperfetti.
Esiste l’uomo medio che può decidere di essere responsabile e maturo oppure di essere un quacquaracquà.

Chi sbaglia, paga. Gli accordi presi, vanno mantenuti. La verità (per quanto faccia male) va affrontata.
E si fa questo assumendosi le proprie responsabilità.

Chi non è abbastanza coraggioso da assumersi le proprie responsabilità non compirà niente nella vita.
(Mohamed Alì)
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Il bello del Web Marketing

Questi sono i report di Google Analytics che amo 🙂

Il bello del web marketing

Facciamo una piccola crono-storia:

  • abbiamo realizzato e messo online il sito web a metà settembre del 2013 (ecommerce settore industriale)
  • dopo qualche mese il cliente ci commissiona anche i servizi di Web Marketing che partono circa a dicembre 2013
  • lavoriamo principalmente lato SEO e miglioriamo la visibilità del brand online

Risultati:

  • dopo circa un anno il progetto vede realizzarsi un incremento del +275% di visite totali rispetto all’anno precedente (1° trimestre 2015 su 2014)
  • ed in particolare si nota un aumento intenso di visite provenienti da Google (Organic Search)il_bello_web_marketing3

Come spesso accade (non sempre purtroppo) alle statistiche positive si legano anche buoni risultati “aziendali”: il cliente infatti ha riportato un aumento netto degli ordini online ma anche dei contatti provenienti dai canali digitali (coprendo anche il settore B2B).

Tuttavia in questo settore riposarsi sugli allora non è possibile 🙂 ed infatti è stato ottimizzato il sito web per renderlo “mobile-friendly” (PS. il tuo sito web è mobile-friendly? Verificalo qui) ed a breve partiremo con una nuova serie di servizi (Social Media Marketing e Email Marketing).

Le ricette universali non esistono. Ogni progetto è un discorso a sé.
Tuttavia ci sono degli ingredienti che non possono mancare affinché un progetto di Web/Digital Marketing abbia ottime possibilità di successo:

  1. fidarsi ed affidarsi ad un’ottima web agency 😉 strutturata e composta da professionisti seri (ce ne sono tante in giro, non solo la nostra)
  2. pazienza: le cose non accadono da un giorno all’altro
  3. costanza: le cose accadono perché c’è qualcuno che ogni giorno lavora per farle accadere
  4. esperienza: le cose accadono perché si sbaglia o perché qualcuno ha già sbagliato in passato e quindi è capace di non commettere gli stessi errori

 

 

I Video nel Piano di Comunicazione Digital di un’Azienda

[Guest Post]
Questo articolo è stato scritto da Marco Ziero (link al suo blog personale), socio titolare e digital strategist di MOCA Interactive, agenzia di digital marketing con sede a Treviso.

Molto probabile che tu abbia già letto in giro di Periscope (qualora non fosse così, clicca qui); facile anche che tu l’abbia già installato nel tuo smartphone.
Ma non ti preoccupare, non scriverò l’ennesimo articolo che lo introduce e ne descrive le funzionalità. Ce ne sono pure troppi che si ripetono pure. Colgo invece lo spunto di quello che sto osservando per dare un punto di vista più ampio su video come mezzo di comunicazione rivolgendomi, come mio solito, più specificatamente alle aziende.

Facciamo un passo indietro a ciò che ha stimolato questo articolo.

Innanzitutto bisogna dire una cosa sul live broadcast: nulla di nuovo; ci sono un sacco di servizi, arrivati molto prima delle app per smartphone, che offrono da tanto tempo questa funzionalità (naturale che il mobile ne abbia fatto esplodere le possibili sfumature di utilizzo).
Poi dico una cosa su Periscope: concettualmente nulla di nuovo, piuttosto hanno lavorato efficacemente sull’interfaccia; il buzz attorno all’applicazione deriva principalmente da due questioni: (a) il fatto che Twitter ha limitato (quasi boicottato) l’utilizzo dell’app Meerkat, principale competitor di Periscope (b) il fatto che proprio Twitter si è comprata Periscope; ma guarda un po’. Molto gossip. Molto PR online, insomma.

Sta di fatto che Periscope rappresenta l’app del momento e, come per tutti gli altri hype, ci siamo buttati a capofitto nel fare live broadcast di qualsiasi cosa. Della serie “chi se ne frega del contenuto, è l’app del momento e ci dobbiamo essere per forza”.
Ora, tralasciando i tentativi mal riusciti di presunte star dell’internet, non mi preoccupa molto se il blogger di turno fa un paio di broadcast, prende qualche migliaio di cuoricini (sono come i like di Facebook) e poi passa alla prossima app del momento abbandonando l’ennesimo account (che poi nemmeno questo farebbe bene, dicono gli esperti di personal branding), piuttosto mi preoccupa di più se un’azienda decide di investire su un nuovo canale senza prima abbozzare una sorta di strategia.

C’è una cosa però che riconosco a Periscope, non tanto all’app quanto al buzz attorno alla stessa, che secondo me farà del bene: è tornata a porre l’attenzione sul tema del video. Dico “tornata” perché il video non è certo una novità però è da un paio di anni che lo si descrive quasi come la next big thing (quelle thing che restano con i piedi per terra, non lo paragono a big data, realtà aumentata e simili).
Il mezzo video è un aspetto nel quale credo molto ma che, come MOCA, ho iniziato ad esplorare (con entusiasmo) da poco tempo.
Ad ogni modo ho avuto il tempo di farmi un’idea di dove e come un’azienda potrebbe investire tempo nell’ottica di ricavare il meglio dai contenuti video.

Provo a buttare giù un po’ di appunti ordinati per canale.

Youtube

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Ideale per il content marketing e per i contenuti “evergreen”, quelli che hanno vita lunga, che non necessariamente devono raccogliere tutta la loro visibilità entro poche ore dalla pubblicazione, quelli che risolvono un problema; tieni a mente che, tutto sommato, Youtube resta il secondo o terzo motore di ricerca più utilizzato al mondo.
Vedo ancora poco utilizzata la possibilità di video-rispondere ai commenti degli utenti e non parlo dei commenti associati al video dell’azienda; insomma, ci vorrebbe un po’ di proattività nello scavare tra le conversazioni degli utenti (potrebbero anche esserci spunti per nuovi contenuti).
Parlando di advertising, mi aspetto che le possibilità di segmentazione continuino con il trend che stiamo osservando da parecchio tempo, ovvero la capacità di intercettare uno specifico profilo di utenza con sempre maggiore precisione; ah, lo spot pubblicitario è meglio se lo fai di 29’’. 😉

Una nota: Youtube oramai lo si può vedere dalla televisione (basta pensare alle smart tv piuttosto che all’app di Apple Tv) per cui, quando pensi alla call to action in sovraimpressione, tieni a mente che dal divano la frase “Clicca qui” ha poco senso.

Facebook/Twitter

facebook-fusione-twitter

Ideali per lo storytelling, per raccontare la tua azienda; anche con delle pillole (visto il limite di 30″ di Twitter che, comunque, sono meglio dei 15″ di Instagram e dei 6″ di Vine): immaginando la volatilità di un tweet/status update, non andrei ad ingaggiare Ridley Scott per il contenuto da produrre. Li utilizzerei alla stessa maniera, addirittura postando il medesimo contenuto (nota: su Facebook non “incollare” il video da Youtube, caricalo direttamente sulla piattaforma: avrà molta più visibilità); non è il massimo ma teniamo a mente che le risorse non sono infinite.

Parlando di advertising:

  • di Facebook mi dispiace che, comunque, senza un minimo di budget pubblicitario anche il video soffre delle regole dell’algoritmo;
  • di Twitter mi piace che lo si può sottoporre all’attenzione di specifici segmenti di utenti targetizzando in maniera molto efficace (mi piace parecchio l’attuale grado di profilazione di Twitter).

Periscope

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Sì, lo considero all’interno della strategia perché c’è interesse (adesso) e potenziale massa. Ma utilizzalo se devi fare veramente il broadcasting di qualcosa: pubblicare 15’ in streaming della passeggiata che ti porta dall’ingresso alla scrivania dell’ufficio non è interessante. Punto. Aspetti davvero interessanti dell’applicazione (emersi durante una chat con @maxpiz):

  • solo i primi duecento utenti che accedono al live hanno la possibilità di commentare; e questo mi dà un senso di esclusività, di correre ad entrare nel broadcast per prendermi il posto;
  • ogni nuovo broadcast viene comunicato mediante una notifica push (se abilitate). Anche questo aspetto gioca sulla leva del tempismo;
  • il broadcast può essere classificato come privato: questa eventuale strategia va comunicata specificando che il broadcast sarà disponibile solo per i follower (questo potrebbe incrementarne il numero);
  • la funzionalità della release 1.0.2 “follower only” potrebbe far vedere il vostro follow nei confronti di un utente come una sorta di premio/riconoscimento: questa opzione abilita il fatto che solo gli utenti che tu segui siano abilitati a commentare durante il broadcast;

Se a questi due punti unisco l’intimità del proprio smartphone e la possibilità, per l’azienda, di dare un’anteprima a contenuti extra, un po’ esclusivi, che magari si fa fatica a pubblicare un po’ ovunque, mi viene tanto in mente la newsletter e l’email marketing; quanto l’utilizzo che ne faccio in MOCA. Da qui ti lascio la palla per continuare con le riflessioni (anche se ci sono i commenti qui sotto, se vuoi).

Instagram

Lo menziono perché “devo” ma trovo i 15’ a disposizione troppo limitanti; se li sommo alla difficoltà per un brand, non top of mind, di avere un buon numero di follower, onestamente sarei per non considerarlo all’interno della strategia.

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