In questo spazio puoi trovare le mie idee su tutto ciò che ogni giorno imparo sulla cultura digitale, l’innovazione sociale e il web marketing. Gli articoli sono frutto della mia esperienza professionale in 3d0, delle ricerche realizzate all’interno dell’associazione Fare Digitale e della mia attività come docente universitario presso l’università LUMSA.
“Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale” di Stefano Quintarelli è un libro che dovrebbe essere studiato in tutte le facoltà universitarie, soprattutto quelle non STEM.
Un volume necessario che scardina luoghi comuni e delinea (spiegando i passaggi logici) le dinamiche della società contemporanea.
Materiale e immateriale non sono sinonimi di reale e virtuale. Il reale può essere materiale o immateriale. Per questo non è corretto usare il termine “virtuale” per riferirsi alla realtà immateriale, la quale ha regole radicalmente diverse dalle regole di base del materiale. Nella dimensione immateriale il mondo è un grande #qui e un grande #adesso e tutto questo condiziona (se non addirittura determina) la realtà e le infrastrutture materiali.
Tali dinamiche stanno profondamente cambiando non solo la dimensione economica legata allo sviluppo tecnologico o della produzione del lavoro, ma investe gli aspetti culturali e sociali che reggono le relazioni umane.
Per questo motivo sono felicissimo che Stefano Quintarelli (così come tantissimi altri straordinari professionisti) abbia accettato di discutere di questi temi negli incontri che stiamo organizzando in Fare Digitale e mi auguro che ancora tante persone decidano di iscriversi a www.faredigitale.org (la quota di iscrizione è solo di €10) e partecipare al cambiamento in atto.
Ma come, proprio tu che parli sempre di #digitale sei contro la didattica a distanza?
Questa è la frase (accusatoria, denigratoria, molto radical chic) che varie persone mi hanno rivolto negli ultimi giorni. Impossibile da ascoltare per i fautori del chiudiamo le scuole, spiazzante per quelli che vorrebbero tornare al 1970 che quasi non credono ai propri occhi. Insomma, sono riuscito a scontentare tutti, dimostrando chiaramente che non potrò mai fare politica!
Provo a fare chiarezza su cosa penso della Dad e della scuola in presenza, così quando qualcuno me lo chiede gli mando il link a questo post.
La #scuola è un mondo troppo vario per essere categorizzato e stilizzato in poche parole, ci vuole pazienza per capire le varie sfumature. Allo stesso modo anche per la DaD non si può essere Pro o Contro: bisogna inserirla con le giuste misure nel contesto di riferimento.
Io penso che la Dadsia un ottimo strumento che abbatte le barriere di tempo e spazio, consente a chi vive lontano di seguire le lezioni, permette in un periodo di emergenza sanitaria di continuare in maniera diversa le lezioni.
Però… ci sono tanti però che aumentano quanto più l’eta degli scolari diminuisce.
Ovvio che i bambini più piccoli hanno maggiori difficoltà e minori benefici, a differenza dei grandi (quelli delle superiori) che possono adattarsi meglio. A tal proposito è necessario trovare un equilibrio tra emergenza sanitaria contingente e diritti degli studenti bambini. E se è ipotizzabile per alcuni periodi fare 100% di Dad è anche poi importante far calare questa percentuale e introdurre la presenza.
Come? Per fasce d’età:
3 / 11 anni dall’80% al 100% di attivitià presenza
12 / 14 anni dal 50% all’80% di attività in presenza
oltre i 14 anni garantiamo il 30% di attività in presenza
Questo significa essere contro la Dad? Certo che no, anzi! Questo significa che è giusto riaprire le scuole a prescindere? Certo che no, anzi!
Significa riacquistare quella capacità di analisi necessaria a introdurre nuovi strumenti e nuove metodologie in processi e contesti complessi, che invece non possono essere lasciati (vergognosamente) ai sondaggi sui gruppi Facebook e Whatsapp dei genitori invasati o dai politici politicanti che strumentalizzano il problema per meri interessi elettorali.
Questo, sinteticamente, è ciò che penso della didattica a distanza, che purtroppo oggi non è la scuola digitale di cui abbiamo bisogno.
Il primo seme con tantissimi amici lo abbiamo seminato a marzo quando a tutti è apparso evidente come il nostro paese avesse notevoli difficoltà ad affrontare le sfide enormi a cui eravamo sottoposti.
Pensiamo ai primi giorni dei nostri bambini in #DAD (Didattica Distanza) oppure la difficoltà delle aziende di riconvertire i flussi informativi per organizzare forme di lavoro remoto (o Smart Working). Discorso a parte meriterebbe la PA e le fragilità endemiche che sono emerse ancora con maggiora evidenza.
Abbiamo deciso allora di rimboccarci le maniche, mettere sul tavolo cosa sappiamo fare e ragionare insieme su come trovare strade e soluzioni da mettere a disposizione di tutti. In maniera aperta, partecipata, apartitica.
Tuttavia per realizzare un progetto, o anche solo per iniziarlo, ci vuole tempo, tanto impegno e persone con cui condividere idee, entusiasmo e passione… in poche parole è necessario darsi molto da FARE:
il tempo a disposizione è sempre poco, ma pensiamo sia necessario trovarlo l’impegno non è mai mancato e infine grazie di cuore a chi ha sposato le idee e la filosfia di #FareDigitale, ogni giorno si aggiungono nuovi amici, citarli tutti è davvero impossibile
Ed ecco che dopo 7 mesi di ragionamenti, burocrazia da impazzire e la voglia di dare una mano nella diffusione e promozione della Cultura Digitale nasce l’associazione Fare Digitale.
Sono certamente un Old-fashioned – come direbbe il mio grande amico Guido – ma sono abbastanza stufo dei bias confermativi che tendono a giustificare, più che a comprendere, i fenomeni in corso e il cambiamento dei comportamenti umani.
In questo periodo di quarantena spinta si leggono ovunque articoli sul grande valore dell’edutainment (education e entertainment) digitale per bambini e il rapporto tra gioco e conoscenza, anche detta Gamification del Sapere. Non c’è dubbio che il fenomeno ha radici antiche, grandi educatori tra suoi precursori ed ottime fondamenta accademiche, per esempio un approccio al gioco fu teorizzato già nel 1732 da Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori dei moderni Stati Uniti, a cui si deve una frase che forse racchiude il senso dell’edutainment: “Dimmi e io dimentico, mostrami e io ricordo, coinvolgimi e io imparo”.
Anche i muri ci ricordano che senza divertimento e senza passione non c’è apprendimento.
Verissimo, chi potrebbe negare il contrario? La passione, la curiosità, anche il divertimento in un certo senso, spinsero Ulisse ad oltrepassare le colonne d’Ercole e andare alla ricerca di nuovi mondi da scoprire.
Però adesso basta con la retorica spicciola, perché altrimenti non riusciamo a cogliere i lati distorsivi di un fenomeno che parte con tutte le buone intenzioni, per poi finire ad arenarsi con i nostri bambini seduti ore su un divano a giocare alla Playstation.
Anche qui qualche chiarimento è d’obbligo: ci sono giochi, videogiochi, software che svolgono un ruolo molto importante nella crescita educativa dei nostri bambini; se oggi i bambini delle scuole elementari sono più “pronti” dei loro maestri nello svolgere le cosiddette attività di Smart Learning è dovuto certamente alla loro capacità adattiva e alle competenze digitali acquisite per esempio giocando a Minecraft o a code.org questo è indubbio ed è un fenomeno da coltivare e governare.
D’altra parte però non possiamo far finta di non vedere due nubi scure che si addensano sulle nostre teste e su quelle dei nostri bimbi:
l’enorme giro d’affari sul mondo dei videogiochi e dell’intrattenimento per bambini e ragazzi
l’abdicare da parte dei genitori del loro ruolo di guida e supporto
Partiamo dal primo punto, la montagna di soldi che gira intorno al mondo dei gamers. Sono un imprenditore e quindi non posso demonizzare le tantissime ottime aziende che fanno innovazione e spingono l’asticella sempre più in alto, ma sono anche un genitore e so che se non governo il fenomeno mio figlio verrà completamente rapito dal meccanismo. Altra conseguenza ovvia che però va tenuta in considerazione è che l’industria della gamification e dell’edutainment (così come qualsiasi altra industria) lavora per legittimare ciò che produce, per promuovere i propri servizi, per convincere quante più persone è possibile a convertire i propri comportamenti per diventare suoi clienti.
Non sto dicendo che vengono veicolati messaggi sbagliati o non veritieri, dico però che se lo spot della Coca Cola tenta di convincerci a bere una bevanda gassata al gusto di cola, ciò non elimina le spiacevoli conseguenze di un consumo eccessivo.
Questo ci porta dritti dritti al secondo punto: qual è il ruolo che noi genitori siamo chiamati a svolgere?
Beh a questa domanda ognuno di noi deve rispondere in base alla propria condizione familiare, non esistono scelte giuste o sbagliate a priori. C’è chi è entusiasta che il proprio figlio sia un’eccezionale videogamer. C’è chi preferisce sedere i bambini sul divano davanti alla Playstation. E c’è chi – senza negare l’importanza di crescere nuove generazioni capaci, pronte, smart – pensa che il miglior Edutainment, inteso come intrattenimento educativo e forma di intrattenimento finalizzata sia a educare sia a divertire, sia leggere un buon libro!
L’utilizzo della rete ha cambiato il modo di pensare degli uomini?
Kevin Kelly | Giornalista e cofondatore Wired
Sappiamo bene che l’uso della tecnologia influisce sul nostro cervello. La capacità di leggere e scrivere è uno strumento cognitivo che cambia il modo in cui elaboriamo le informazioni. Quindi, se saper leggere e scrivere può cambiare il nostro modo di pensare, immaginate quanto il nostro cervello venga modificato da internet dalle 10 ore al giorno che passiamo davanti al PC.
Il Web è la mia carta e la penna, sono diventato più bravo a raccogliere informazioni. Ma la mia conoscenza è più fragile. Per ogni informazione che trovo c’è qualcuno pronto a dire il contrario. Ogni dato ha il suo antidato. Non ho più certezze. Invece di affidarmi a un’autorità, sono costretto a crearmi le certezze, non solo sulle cose che mi interessanto ma su tuttoquello che leggo.
In generale quindi mi capita di presumere sempre più spesso che quello che so è sbagliato. Un atteggiamento ideale per uno scienziato. La capacità di accettare l’incertezza è uno dei cambiamenti che ho subito.
L’incertezza ha dei tratti in comune con la liquidità, e ora anche il mio modo di pensare è più liquido. Non è statico, è fluido come una voce di Wikipedia. Cambio opinione più spesso. I miei interessi nascono e muoiono rapidamente. Sono meno interessato alla Verità e sempre più interessato alle verità.
Richard Dawkins | Biologo evoluzionista
Il Web è un’invenzione geniale, uno dei traguardi più alti raggiunti dalla specie umana. La sua qualità migliore è quella di non essere stato creato da un singolo genio, nè da una grande azienda, ma da una comunita anarchica composta da singoli e gruppi sparsi per il mondo. Le sue dimensioni sono sovraumane.
Internet è una rete che nessuno ha mai progettato, che è cresciuta in modo organico ma casuale, secondo princìpi non solo biologici ma specificamente ecologici.
L’inaspettata unificazione mondiale che il Web sta realizzando somiglia all’evoluzione del sistema nervoso degli animali pluricellulari. Una certa scuola di psicologia potrebbe considerarla il riflesso dello sviluppo della personalità dei singoli individui.
Douglas Coupland | Scrittore
Internet mi ha fatto accettare un livello di onniscienza che dieci anni fa era impensabile. A volte mi chiedo se Dio non si annoi a sapere tutte le risposte. Internet mi costringe a capire chi sono davvero e cosa c’è di unico in me, e naturalmente in chiunque altro. E questo mi piace.
Clay Shirky | Ricercatore
E’ troppo presto per capire se internet ha cambiato i nostro modo di pensare. I cambiamenti profondi si manifesteranno solo quando nuove forme culturali regoleranno quello che può fare la tecnologia.
L’influenza principale di internet sul nostro modo di pensare si rivelerà solo quando agirà sull’ambiente culturale, non solo sul comportamento dei singoli utenti.
Steven Pinker | Psicologo
Sono una persona che crede sia nella natura umana sia nei princìpi immutabili della logica. Quindi sono molto scettico sull’idea che internet stia cambiando il nostro modo di pensare. I mezzi di comunicazione digitali non modificheranno mai i meccanismi con cui il cervello elabora le informazioni nè sostituiranno il ragionamento diretto o il teorema delle probabilità di Bayes.
L’aspetto più interessante dello sviluppo di internet non è come sta cambiando il modo di pensare delle persone, ma come la rete si sta adattando al loro modo di pensare.
Jamshed Barucha | Psicologo
Nel bene e nel male la sincronizzazione dei pensieri e dei comportamenti favorisce la coesione di un gruppo. Internet sincronizza tra loro molte persone. La scoperta di nuovi strumenti ha sempre cambiato il nostro modo di pensare. Siamo esseri sociali, e internet è lo strumento sociale più potente con cui il cervello umano abbia mai lavorato.
La sua forza unificante non solo ha cambiato il modo in cui pensiamo a noi stessi e al mondo, ma ha fatto emergere una nuova forma di cognizione, che si verifica quando tante singole menti sono sincronizzate e intrecciate tra loro.