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L’etica aziendale e il piacere di stare insieme

Se la morale è l’insieme dei valori e principi che ci vengono dettati dalla coscienza individuali e secondo i quali l’uomo agisce, ecco che il diritto sono quelle norme che lo Stato sanziona con i propri tribunali e con la propria forza esecutiva.

In pratica le norme morali sono le libere scelta che come individui facciamo ogni giorno (l’educazione e il contesto ambientale giocano un ruolo fondamentale, ma tutto sommato si ha sempre la possibilità di cambiare idea e modificare la propria condotta morale), invece le norme di diritto che ci vengono imposte da un soggetto superiore dotato di forza impositiva e decisionale.

Tra questi due estremi si posiziona l’etica.

Secondo una visione etica i valori comportamentali non sono liberamente scelti (morale) e ne imposti da un soggetto dotato di imperio (diritto), bensì sono condivisi in una relazione intersoggettiva che si sviluppa entro uno “stare-insieme” relativamente stabile.

Secondo Hegel, sono le relazioni etiche quelle che tengono insieme gli individui e consentono il coordinamento intersoggettivo dell’agire, così come sono le relazioni etiche esistenti a costituire il vero criterio su cui fondare l’agire individuale.

Se trasponiamo questi concetti nell’analizzare le azioni di un’organizzazione imprenditoriale è chiaro che l’etica aziendale non è determinata tanto dal contenuto dei suoi comportamenti, quanto dalla fonte della doverosità di quei comportamenti.

Il comportamento è etico solo quando è l’esito di un incontro, di una relazione, di una scelta condivisa tra l’azienda e coloro che ne fanno parte.

Ciò avviene non perché ci sono delle leggi che lo impongono e non perché dei valori morali inducono la nostra coscienza a tenere determinati comportamenti.

Quest’incontro avviene perché sono i singoli a decidere di agire eticamente e di costituire un gruppo.

Responsabilità significa dover creare il futuro

Un monaco buddista ha detto:

Quando lavi i piatti, lava i piatti.

All’inizio, il pensiero zen di quel monaco mi appariva ovvio e privo di valore, ma a mano a mano che riflettevo acquistava sempre più significato.
Alla fine, l’ho tradotto in una frase molto significativa:

Quando hai un ruolo di responsabilità, esercitalo fino in fondo. E avere un ruolo di responsabilità significa dover creare il futuro.

(Gordon Sullivan, Ex Capo del Personale dell’esercito americano)

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Tortura per bambini

Tranquilli non è come appare, ma solo un esperimento.

Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, il ricercatore Walter Mischel cominciò a torturare metodicamente bambini di 4 anni alla scuola materna della Stanford University.
Più di 500 bambini furono iscritti al diabolico programma dai loro stessi genitori, molti dei quali, come milioni di altre persone, in seguito avrebbero riso senza pietà di fronte ai video dei poveri bambini che si dibattevano.

Il micidiale esperimento fu chiamato “test del marshmallow” e rappresenta un modo interessante di valutare la forza di volontà.

A ciascun bambino veniva offerto un dolcetto (il famigerato marshmallow), poi gli veniva spiegato che il ricercatore doveva uscire dalla stanza per 15 minuti. Se il bambino riusciva a resistere e a non mangiare il dolcetto fino al ritorno dello studioso, in premio ne avrebbe ottenuto un secondo.

Un dolcetto subito oppure due più tardi!

Lasciati da soli con un invitante e gustoso dolcetto (che non potevano mangiare), i bambini escogitavano ogni genere di strategia di differimento, dal chiudere gli occhi, al tirarsi i capelli, voltarsi, alzarsi e gironzolare, annusare, pesino accarezzare l’ambita preda.
In media resistevano meno di 3 minuti.

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Solo 3 su 10 erano in grado di ritardare la gratificazione fino al ritorno del ricercatore. Si capiva chiaramente che la maggior parte dei bambini aveva difficoltà con il differimento della ricompensa. La forza di volontà non era abbastanza durevole.

Dopo molti anni, Mischel cominciò a osservare sistematicamente i soggetti dell’esperimento, oramai adulti consapevoli. Le sue supposizioni si rivelarono corrette: la forza di volontà o l’abilità di differire la gratificazione era un indicatore importante del futuro successo del bambino.

Nei trent’anni seguenti i ricercatori pubblicarono numerosi studi su come i “differitori forti” se la fossero cavata meglio riscuotendo un maggior successo accademico, votazioni superiori alla media, maggiore autostima e migliore capacità di gestire lo stress.

Sul versante opposto, i “differitori deboli” sviluppavano la tendenza al sovrappeso nel 30% dei casi, più propensi allo stress e alle dipendenze in generale.

In altre parole, la costanza, la pazienza e la forza di volontà si dimostrano indispensabili per vivere una vita consapevole e di valore.

(Testo tratto e adattato da “Una cosa sola” di Gary Keller)

 

 

Love Has No Labels

Che cos’è l’amore?

La grande maggioranza di noi si considera una persona senza pregiudizi, ma è veramente così?

Purtroppo, anche senza volerlo, spesso giudichiamo gli altri sulla base di stereotipi e cataloghiamo il diverso in base al sesso, alla razza, alla… diversità appunto!

Provate a guardare questo video e poi rispondete di nuovo alla domanda:

che cos’è l’amore?

Visita il sito Web LoveHasNoLabels.com

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Il Marketing e le Identità Sociali

Le identità sociali (vedi: Teoria dell’identità sociale) sono molto importanti per chi si occupa di marketing, perché guidano i comportamenti delle persone e le spingono a compiere determinate azioni, a prendere decisioni, fare scelte più o meno importanti.

Alcuni di questi comportamenti rafforzano e sostengono il gruppo, l’unione tra le persone, altri invece provocano l’effetto l’opposto. Non a caso persone che fanno lo stesso lavoro comprano le stesse auto e leggono le stesse riviste.

Infatti come si può osservare quotidianamente, quando si tratta per esempio di comprare qualcosa, il gruppo con cui ci si identifica può influire in maniera determinante sulla scelta e sulle modalità d’acquisto.

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Tutti abbiamo un’immagine di noi stessi, o un’idea su chi siamo, questa è la cosiddetta “concezione di sé“.
Di conseguenza un’identità sociale è quella parte della concezione di sé che deriva dalla nostra sensazione di appartenere a un gruppo e riguarda, per un verso, il modo in cui l’individuo considera e costruisce se stesso come membro di determinati gruppi sociali (nazione, classe sociale, livello culturale,etnia, genere, professione, e così via) e, per l’altro, il modo in cui le norme di quei gruppi fanno sì che ciascun individuo si pensi, si comporti, si relazioni con gli altri.
Se quindi come è certo l’identità sociale determina le decisioni e i comportamenti d’acquisto, le strategie di marketing di un’azienda dovrebbero incoraggiare i clienti a sintonizzarsi su un’identità affine ai propri prodotti o servizi.
La prima cosa da fare è cambiare prospettiva: non concentrarsi più sulle attitudini del singolo, ma sulla sua sfera sociale magari creando una community (tribù) o innescando comportamenti rituali che creano il senso di appartenenza.
Nell’era della connessione, della condivisione, delle relazioni digitali tutto ciò viene amplificato e diviene estremamente complesso da analizzare, ma allo stesso modo anche le opportunità si moltiplicano a dismisura.
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(Ripreso e adattato da HBR: Champniss, Wilson e Macdonald)