Il crowdfunding culturale esiste grazie al digitale. O meglio esiste grazie alle opportunità, agli strumenti, alle dinamiche sociali e alle relazioni generate nella digital society.
Il crowdfunding è sempre esistito, intendiamoci, ma la sua forza e la sua utilità ha preso forma solo quando i social network, le tecnologie digitali e in particolare le piattaforme web che consentono la raccolta di denaro si sono evoluete e hanno creato le condizioni per la sua diffusione e efficacia.
Il termine crowdfunding viene dall’inglese crowd folla e funding finanziamento ed è possibile definirlo come un processo di finanziamento dal basso: un gruppo di persone decide di mettere in comune il proprio denaro per sostenere una buona causa. Il digitale e le piattaforme web sono gli strumenti che permettono l’incontro tra i soggetti che devono raccogliere fondi e gli eventuali sostenitori/donatori. Se questo processo viene organizzato e promosso da un’istituzione culturale – organizzazioni che per loro natura sono particolarmente innovative, con un forte impatto sociale e in grado di contaminare altri settori in maniera creativa – ecco che siamo in presenza del cosiddetto crowdfunding culturale.
Senza dubbio stiamo parlando di uno strumento che negli ultimi tempi va “molto di moda“.
Tanti lo sponsorizzano, tanti sbandierano campagne formidabili, in realtà bisogna ammettere che (in Italia) non abbiamo capito ancora bene a cosa serve e come funziona, tanto è vero che i casi di reale successo si contano sulle dita di mezza mano.
Il problema vero è che il crowdfunding viene tirato fuori come il coniglio dal cilindro quando le organizzazioni hanno bisogno di soldi. Niente di più sbagliato. Il crowdfunding è davvero efficace solo se l’organizzazione è già predisposta ad attività di fundraising e la sua comunicazione è orientata alla richiesta di sostegno. Non sono cose che si improvvisano. Le giuste motivazioni che invece dovrebbero spingere i musei alla scelta del crowdfunding culturale sono le opportunità di branding e marketing legate a queste attività, certamente anche la fattibilità economica e gli obiettivi finanziari, ma come prima cosa deve esserci la forte volontà di creare e/o di ampliare una community di fiducia, in coerenza con la mission del museo.
Il processo dal basso del crowdfunding ha come obiettivo proprio di rafforzare in modo più esteso e capillare il senso di appartenenza della comunità al museo e alla sua progettualità e consente di accendere la curiosità e l’interesse dei non abituali frequentatori, risultando particolarmente efficace per i musei più piccoli e quindi bisognosi di cure, attenzioni e sostegno.
In altre parole il crowdfunding culturale non può e non deve essere inteso come mero strumento finanziario, ma anche e soprattutto come leva di marketing, comunicazione e branding a sostegno dei musei. Il crowdfunding, se inserito in maniera fluida nella strategia di gestione del museo, è certamente un acceleratore di un processo di rete, digitale e fisica, che lega l’istituzione alla propria comunità, visitatori, stakeholder, sostenitori e sponsor che abitano l’ecosistema culturale.
Queste considerazioni, molto meglio articolate dall’amico e docente di fundraising Raffaele Picilli, è possibile trovarle anche nel libro “Fundraising e marketing per i musei” edito da Rubbettino che abbiamo scritto nel 2020 nel quale raccontiamo anche vari esempi di campagne di crowdfunding culturale.