E se lo dico io – che con il digitale ci pago il mutuo – potete crederci o almeno prendere in considerazione l’idea.
Però sgombriamo il campo dagli equivoci: non ho detto che il digitale è inutile, ho detto che non è la soluzione. Saremo sempre più interconnessi e digitalizzati, la nostra vita virtuale occuperà gran parte della nostra giornata ed anzi in tantissimi settori dobbiamo fare dei passi in avanti da gigante per poter competere e svilupparci sia come individui che come ecosistema sociale, occupazionale ed economico.
Gli enti pubblici e il miraggio della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione potrebbe sembrare il titolo di un film di fantascienza ed infatti i nostri Comuni, Province e Regioni sono ancora nel paleolitico da questo punto di vista. Non hanno infrastrutture tecnologiche adeguate (quando le hanno) e il personale è per gran parte inadeguato ed incompetente a gestire le sfide della modernità. Basti pensare a cosa bisogna fare per rinnovare la carta d’identità o – cosa ancora più importante – tutto ciò che ruota intorno al settore tributario e fiscale: quando si hanno dei problemi alla fine bisogna sempre andare di persona in un’anonima stanza dove un volenteroso funzionario soffierà su un polveroso incartamento per dirimere la situazione.
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Se analizziamo la ricetta elettronica abbiamo dovuto attendere il Covid 19 per “puntare con forza sulla ricetta medica via email o con messaggio sul telefono. Un passo avanti tecnologico che rende più efficiente tutto il sistema sanitario nazionale” testuali parole Ministero della Salute. Fino ad oggi non era possibile, bisognava continuare a foraggiare processi e procedure obsolete, inefficienti e facilmente corruttibili, poi ecco che arriva il distanziamento sociale e PUUUFF in 10 giorni ecco a voi la “generazione della ricetta elettronica da parte del medico prescrittore; l’assistito può chiedere al medico il rilascio del promemoria dematerializzato ovvero l’acquisizione del Numero di Ricetta Elettronica tramite: email, PEC ed sms” ed abbiamo evitato il taglio del nastro, cerimonie e pacche sulle spalle solo perché in questo momento dobbiamo stare a 1 metro di distanza.
Per non parlare della scuola, la didattica a distanza (DaD) e il primo timidissimo utilizzo dell’e-Learning che ha aperto un vaso di pandora di dimensioni bibliche. Orde di maestre e maestri, professori alle prese con il cloud, le videolezioni in controluce, le chat di classe e la totale inadeguatezza di una classe docente. A peggiorare la situazione ci ha pensato il confronto spietato con gli studenti molto più preparati, veloci e smart degli stessi professori. E non stiamo parlando di studenti di 15-18 anni, ma bambini delle prime classi della scuola primaria: maestra devi cliccare sul tasto a sinistra per fare X, maestro devi attivare il microfono non ti sentiamo, professoressa se ti metti contro luce non vediamo niente e se lo stai facendo di proposito sappi che sei brutta anche normalmente non è la quarantena.
Il divario con altri paesi molto più avanti di noi però si vede anche nel settore privato dove orde di dipendenti e collaboratori in Smart Working sono lasciati liberi di lavorare rispondendo solo alla loro professionalità e serietà: il calo della produttività (già bassissimo di suo) lo analizzeremo fra qualche mese quando ci leccheremo le ferite, conteremo i nuovi licenziati e i sindacati faranno le barricate. L’unico modo per rendere davvero utile lo Smart Working è dimostrare che è una modalità di lavoro più efficiente, produttiva e felice del dovere andar tutti i giorni in ufficio e beccarsi 2 ore di traffico ad andare e altre 2 a tornare. Se invece non abbiamo la giusta mentalità nell’affrontare questo cambiamento mi spiegate che senso ha?
Potrei continuare con gli esempi e le frasi fatte: “No, io di queste cose non ci capisco niente, in azienda se ne occuperà mio figlio che è andato a studiare all’estero” dice l’imprenditore che maledice la concorrenza cinese (a proposito, c’è ancora?); “10.000 euro per un sito web? Ma siamo pazzi? Non abbiamo tutto questo budget per queste cose” afferma il tizio nel Porsche Cayenne in leasing. E via così senza sosta.
Aspetta un attimo però – starete pensando – prima ci porti su quest’articolo dicendo che il digitale non è la soluzione e poi ci riempi la testa con i limiti del digitale, quanto dovremmo essere più smart, perché è fondamentale… bla bla bla, ma ti senti bene? Forse la quarantena ti ha dato alla testa!
Ok, chiariamoci.
Il digitale non è la soluzione… per essere felici, per realizzarsi nella vita, per poter essere sereni e soddisfatti in qualsiasi ambito: professionale, economico, sociale, politico e relazionale.
Il digitale è la strada, è il percorso che oggi l’umanità deve necessariamente percorrere per poter liberare energie da dedicare ad altro, riscoprire sé stessi, le radici e la propria terra. Il digitale è lo strumento fondamentale per trovare risposte a domande che ci portiamo indietro da sempre (fame? povertà? giustizia? uguaglianza?), è il kit operatorio per curare l’organismo-mondo.
Abbiamo bisogno di un digitale umano o di un umanesimo digitale dove c’è sempre l’uomo al centro, con le sue ambizioni, entusiasmo e coraggio, e con il digitale a giocare il ruolo della spinta propulsiva verso un futuro migliore, più giusto e sostenibile.
“Molte persone provano a cambiare la natura degli umani, ma è davvero una perdita di tempo. Non puoi cambiare la natura degli umani; quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usano, cambiare le tecniche. Allora, cambierai la civiltà.”
(The Game – Alessandro Baricco)