L’esame di Sociologia è stato uno dei più belli di tutto il corso di studi (Scienze Politiche, ndr). Era il periodo dei fiammanti G7 a Napoli e Genova, la globalizzazione, le ultime (?) rivolte sociali, in qualche momento davvero si aveva la sensazione di poter cambiare il mondo. E poi ero un giovane pischello, mi sembrava tutto così meravigliosamente stimolante.
In tutto questo marasma, i concetti che ho studiato in quel periodo hanno segnato – inconsapevolmente – gran parte del mio percorso professionale. Nelle piccole e piccolissime cose. Semplici concetti, che però mi hanno aperto mondi e riflessioni. Uno di questi istanti illuminanti fu sicuramente durante una lezione su Schumpeter e il ruolo dell’innovazione nell’economia industriale moderna. Boom, una luce che lì per lì era solo uno scalino per salire a guardare più in alto, ma che poi si è rivelata una pietra angolare di tante mie scelte personali e professionali. Ma facciamo un passo indietro.
Schumpeter è stato il primo economista che ha studiato in modo ampio, sistematico ed approfondito il ruolo dell’innovazione nelle moderne economie industriali: Teoria dello sviluppo economico (1912) e Capitalismo, socialismo e democrazia (1942) sono dei capisaldi del pensiero economico moderno.
Il pensiero di Schumpeter si basa sul concetto che l’innovazione è la determinante principale dell’evoluzione industriale e dello sviluppo economico. Ed in quest’ottica chiarisce in maniera netta le differenze tra invenzione, l’acquisizione di conoscenze
scientifiche e tecnologiche che possono anche non essere direttamente applicate alla produzione, e innovazione, che consiste in “nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni o nuovi metodi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati” come affermato da Schumpeter ne Il governo imprenditoriale del 1934.
In parole più semplici se un’idea, un prodotto o un processo non è mai stato realizzato prima siamo in presenza di un’invenzione. L’implementazione della stessa idea o prodotto o processo invece la definiamo con il nome di innovazione. L’invenzione è legata alla creazione, innovazione consiste nell’aggiungere valore o apportare una modifica all’esistente. Questa distinzione assume grande importanza nella società digitale, perché se ogni aspetto della vita sociale capitalistica (quella studiata da Schumpeter) era sottoposto ad una trasformazione continua, oggi la velocità delle trasformazioni a cui siamo soggetti ha raggiunto ritmi che non hanno termini di paragoni.
Il termine esatto adottato da Schumpeter fu distruzione creativa, ossia il processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova. Ispirandosi alle concezioni dell’economista francese Léon Walras e in parte anche alle teorie dell’evoluzione della specie di Darwin, Schumpeter spiega come i sistemi macroeconomici siano talvolta, in determinate fasi temporali, soggetti a delle profonde mutazioni a cui le imprese si devono obbligatoriamente adattare per sopravvivere. Attenzione le imprese, non lo Stato. Infatti in questo scenario è l’imprenditore a rappresentare la variabile attiva responsabile dello sviluppo tecnologico e ecnomico tramite l’introduzione di numerose innovazioni (chiamate anche innovazioni a grappolo) che come abbiamo visto prima possono essere la produzione di un nuovo bene o un nuovo modo di produrre, la creazione di un nuovo servizio l’apertura di un nuovo sbocco sul mercato e così via.
Schumpeter sviluppa quindi la concezione dell’imprenditore innovatore, che introduce nel sistema a intervalli regolari innovazioni che creano e alimento lo sviluppo e distruggono tutto ciò che ormai è obsoleto, per poi creare un nuovo sistema sempre più efficace ed efficiente del precedente e così via. Alla fine viene a formarsi un vero e proprio circolo virtuoso di costante evoluzione e distruzione dei macrosistemi economici.
Tale concetto sta alla base del sistema capitalista ed è contenuto in una delle più famose teorie di Schumpeter, ovvero quella della “Distruzione Creativa”.
L’innovazione schumpeteriano nell’era digitale pandemica
La pandemia che stiamo vivendo é potenzialmente una di quelle fasi temporali citate da Schumpeter in cui i sistemi si trasformano e i cicli economici passano da una situazione di recessione ad una di espansione, la quale fa procedere ad un’ulteriore livello lo sviluppo tecnologico e crea nuove organizzazioni economiche più efficaci delle precedenti. O almeno questa è la speranza. Siamo in presenza di un cluster innovativo con un impatto sociale e economico molto forte dal quale stanno nascendo nuovi settori produttivi, nuove modalità di lavoro, nuovi processi organizzativi.
In più, come sempre accade l’innovazione porta con sè anche una conseguente conversione nella composizione della domanda che ultimamente è stata ulteriormente accelerata dai vari lockdown come conseguenza dei tanti divieti a cui siamo stati sottoposti, alle modalità di accesso ai servizi divenute improvvisamente esclusive, alle nuove abitudini lavorative con la diffusione del remote working o della didattica a distanza. La pandemia ha intensificato il processo di distruzione creativa, accelerando trend già esistenti la cui evoluzione sarebbe probabilmente durata ancora molti anni, anziché pochi mesi. La speranza è che la distruzione (creativa) economica conseguente alla crisi pandemica sia così profonda da potersi trasformare in un enorme salto evolutivo per l’intera umanità.
Le macerie lasciate sul campo sono enormi e devastanti, aziende fallite e disoccupazione ai massimi storici, tuttavia questo scenario che al momento ci appare apocalittico, se compreso e indirizzato, potrebbe avere risvolti positivi epocali.