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Chi sono

Il digitale è un fattore di cambiamento, ma non è il cambiamento.

Il mondo lo cambiano le persone.

Mi chiamo Gabriele Granato e la mia passione per il marketing e le dinamiche economico-sociali è nata tra i banchi del liceo. Fin da giovane ero affascinato dai meccanismi che muovono le imprese e i progetti di ogni genere: volevo capire il “perché” dietro al “come” di ciò che rende un’idea di successo. Allo stesso tempo, ho iniziato a intravedere nel digitale uno strumento capace di migliorare la vita delle persone, intuendo che la tecnologia potesse diventare una leva fondamentale per uno sviluppo più equo e sostenibile​ del nostro futuro.

Con gli anni, questa visione si è consolidata. Amo tutto ciò che ha un impatto positivo sulla quotidianità e credo fermamente che l’innovazione digitale abbia senso solo se arricchisce le esperienze umane. Non ho mai pensato al digitale come fine a sé stesso: il mio lavoro ruota attorno a come la tecnologia si integra con la dimensione umana, ibridando i mondi online e offline. In altre parole, dietro ogni trasformazione digitale vedo sempre le persone in carne e ossa – quelle che si stringono la mano, che collaborano e che, in ultima analisi, cambiano davvero il mondo.

Ruoli professionali

Attualmente ricopro il ruolo di Chief Marketing Officer (CMO) di Ellycode, l’azienda che ha sviluppato la piattaforma di Business Intelligence chiamata “Elly”. In questo incarico metto a frutto la mia esperienza nel marketing e nella trasformazione digitale per un obiettivo chiaro: rendere accessibili e semplici da utilizzare anche gli strumenti di analisi dati più avanzati​. Credo infatti che la business intelligence debba essere alla portata di tutti in un’organizzazione, così da aiutare aziende e istituzioni a prendere decisioni informate e a coltivare una solida cultura data-driven.

Sono stato Presidente di Fare Digitale, un’associazione che promuove la diffusione della cultura digitale in Italia, con l’obiettivo di sensibilizzare sull’uso consapevole delle tecnologie digitali come leva per lo sviluppo economico, culturale e sociale del Paese. In questo ruolo di volontariato mi impegno a sensibilizzare cittadini e imprese sull’uso consapevole delle tecnologie come leva di sviluppo economico, culturale e sociale. Attraverso Fare Digitale organizziamo incontri, dibattiti e percorsi formativi per colmare il divario digitale e favorire un’innovazione inclusiva. Questa esperienza mi ricorda ogni giorno quanto sia importante accompagnare la trasformazione tecnologica con la crescita delle competenze umane e con una visione etica del progresso.

Nel 2012 ho fondato la 3d0, una digital factory specializzata in soluzioni IT, sviluppo e comunicazione digitale. È stata la mia prima avventura imprenditoriale e per oltre un decennio ho guidato progetti di innovazione tecnologica per supportare aziende e istituzioni (in particolare enti culturali) nel raggiungere i propri obiettivi. In 3d0 ho imparato sul campo cosa significhi fare impresa nel digitale: dal lavoro di squadra con programmatori e creativi, fino alla soddisfazione di vedere un’idea prendere forma e creare valore per i clienti. Questa esperienza imprenditoriale ha gettato le basi del mio approccio pratico e orientato al risultato, che porto avanti ancora oggi in ogni nuovo progetto.

Docenze e formazione

La formazione ha sempre occupato un posto speciale nel mio percorso. Sono docente di Web Marketing e Comunicazione Digitale presso l’Università LUMSA, dove accompagno gli studenti alla scoperta del marketing digitale, della trasformazione tecnologica e dell’alfabetizzazione mediatica. In aula cerco di trasmettere competenze pratiche e passione, ma anche di imparare dai miei studenti: ritengo infatti che l’insegnamento sia un’opportunità reciproca, in cui il confronto con i giovani talenti arricchisce anche me come professionista e come individuo.

Sempre presso la LUMSA, sono docente nel Master in Comunicazione Digitale, Intelligenza Artificiale ed Innovazione per il Marketing, un percorso formativo che esplora l’incontro tra nuove tecnologie e strategie di comunicazione. Questo incarico mi consente di lavorare con studenti e professionisti su temi di frontiera, portando in aula esperienze e casi reali utili a comprendere l’impatto dell’IA e dell’innovazione nel marketing contemporaneo.

Parallelamente all’attività alla LUMSA, ho avuto modo di insegnare anche in altri contesti. Nel 2024, ad esempio, sono stato docente a contratto all’Università degli Studi di Salerno per un corso su Smart Community, Promozione e Digitalizzazione del Turismo​. Questa esperienza mi ha permesso di applicare le mie conoscenze in un ambito specifico – quello del turismo digitale – contribuendo a formare figure professionali capaci di innovare nel settore turistico e culturale. Inoltre, ho conseguito la certificazione come Docente Google, un titolo che attesta le mie competenze nell’utilizzo degli strumenti digitali per la formazione e la comunicazione​

Libri e pubblicazioni

Ho scritto tre libri dedicati al marketing culturale e dei musei:

  • “Inestimabile Valore – Marketing e fundraising per il patrimonio culturale” (Rubbettino, 2019), scritto con Raffaele Picilli. Il libro esplora strategie e buone pratiche per valorizzare e sostenere economicamente musei e beni culturali.

  • “Fundraising e marketing per i musei” (Rubbettino, 2021), sempre in collaborazione con Raffaele Picilli. In questo volume proseguiamo il percorso iniziato con L’inestimabile valore, focalizzandoci sulle tecniche per coinvolgere il pubblico e i finanziatori nel contesto museale.

  • “I musei salveranno il mondo” (Rubbettino, 2023), un invito a riflettere sul ruolo trasformativo dei musei nella società contemporanea. Qui ho voluto raccontare come le istituzioni culturali possano essere motori di cambiamento sociale, integrando innovazione e tradizione per affrontare le sfide del presente.

Ho contribuito inoltre al libro collettivo “Trasformazione digitale e competenze per la network society” (FrancoAngeli, 2022), curato da Maria Prosperina Vitale e Davide Bennato, con un capitolo scritto insieme a Michele Aponte intitolato “Alla ricerca di un’alleanza digitale tra tecnici e umanisti”.

Ho scritto la prefazione del libro “Appunti di marketing e digitalizzazione per studi professionali” di Gianmaria Abbondante (2022), un testo che esplora l’importanza della digitalizzazione e del marketing nel settore professionale, con particolare attenzione all’ambito economico-giuridico.

Filosofia personale

In tutte queste esperienze – dal lavoro aziendale alla vita associativa, dalla didattica alla scrittura – mantengo fede a un principio guida: mettere le persone al centro. Sono convinto che il vero progresso nasca dall’incontro tra innovazione tecnologica e valori umani. Per questo, il mio obiettivo quotidiano è creare valore in tutto ciò che faccio, sia che si tratti di sviluppare un progetto digitale, formare nuovi professionisti o collaborare con partner che condividono la mia visione. Cerco sempre di costruire ponti tra competenze diverse, di favorire la crescita collettiva e di dare un contributo positivo alla comunità.

Mi piace ricordare, infine, che la tecnologia da sola non basta a cambiare le cose: sono le persone, con la loro passione e il loro impegno, a fare la differenza. In fondo, le persone – e non le tecnologie – sono il vero motore del cambiamento. Questa convinzione ispira ogni mia scelta professionale e personale, ricordandomi che dietro ogni dato, ogni strategia di marketing e ogni innovazione c’è sempre il fattore umano, il più prezioso di tutti.

Gabriele Granato

Destinazione metaverso: idee per un nuovo marketing turistico

Confesso subito di non essere un fan del “metaverso a tutti i costi“, anzi sono molto critico scorgendo molti, troppi lati negativi – diretti e indiretti – della moda metaversiana. D’altra parte è impossibile ignorare le opportunità di questo nuovo spazio digitale in cui le persone interagiscono tra loro in tempo reale vivendo esperienze simili a quelle che è possibile fare nel mondo fisico.

E senza alcun dubbio, un ambito in cui è interessante notare gli impatti del metaverso è il turismo. La domanda turistica per sua natura si alimenta di esperienze sempre nuove e originali ed è fisiologico che la rete e le tecnologie informatiche sin dal principio hanno rivoluzionato, e probabilmente lo faranno sempre di più, le dinamiche turistiche e la catena del valore che lega destinazioni, esperienze, intermediari turistici e viaggiatori.

In questo scenario il marketing turistico non può restare fermo a guardare, ma anch’esso si trasforma poiché la combinazione di realtà virtuale, realtà aumentata e mista rivoluziona le esperienze turistiche prima, durante e dopo che il turista abbia vissuto l’esperienza stessa. La realtà virtuale consente agli utenti di vivere esperienze coinvolgenti all’interno di ambienti artificiali. La realtà aumentata, come dice la parola, aumenta gli spazi fisici fornendo informazioni utili ai turisti sui dispositivi tecnologici degli utenti. La realtà mista introduce un livello intermedio che rende l’esperienza molto realistica, che spesso l’utente non riesce a distinguere il contenuto virtuale dagli oggetti fisici.

Se a tutto questo aggiungiamo la gamification ci appare evidente come tali tecnologie possano essere una grande opportunità di marketing creativo, offrendo alle destinazioni, ai musei e agli operatori turistici la possibilità di guidare i visitatori in nuovi territori e fargli vivere nuove esperienze.

Il metaverso (con tutti i suoi limiti, difetti e lati oscuri) è quindi una leva abilitatrice di opportunità enormi per il marketing turistico e l’industria dell’ospitalità.

La possibilità di immaginare e disegnare un universo parallelo, nel quale utilizza la potenza di calcolo e i nuovi dispositivi tecnologici per valorizzare gli spazi fisici, prodotti e servizi turistici, è certamente uno strumento di marketing potentissimo per creare valore.

Ormai è conclamato che i turisti operano e interagiscono sia online che offline prima, durante e dopo il viaggio. A noi resta da capire come il metaverso possa intercettare i loro desideri, soddisfare i loro bisogni e realizzare esperienze accessibili. Ed è qui che emergono le vere difficoltà ed enormi ostacoli. C’è anche da dire che gli investimenti stanno raggiungendo cifre astronomiche e l’evoluzione tecnologica perfeziona ogni giorno strumenti e processi, sperimentando prototipi, lanciando numerosi progetti (moltissimi fallimentari, dobbiamo dirlo) e cercando di risolvere i tanti problemi di interoperabilità tra sistemi diversi.

In ogni caso l’impatto del metaverso sul turismo, inteso come insieme di strumenti e tecnologie, non può essere più sottovalutato. Innovativi strumenti di marketing sono a nostra disposizione per trovare nuovi processi lungo la catena del valore dell’utente e noi abbiamo il compito di interrogarci su come integrarli per supportare e migliorare la competitività dell’ecosistema turistico, delle destinazioni e degli operatori.


NB. il tema metaverso ultimamente è molto dibattuto e si è creata la solita battaglia tra fautori entusiasti e accaniti oppositori. Per restare aggioranti sul tema consiglio di seguire la voce che ritengo più equilibrata ed esperta nel campo, Fabio Lalli e il suo canale Telegram sul MTVRS.

Marketing turistico e metaverso

Blockchain: è davvero utile o è un immenso spreco di risorse?

Editoriale di Paul Krugman “Blockchains, What Are They Good For?” pubblicato sul New York Times del 2 dicembre 2022, da me liberamente adattato e tradotto.

Circa un anno fa Bitcoin e altre criptovalute furono scambiate a prezzi record con un valore di mercato combinato di circa 3 trilioni di dollari. Decine di articoli e pubblicità patinate con famose celebrità – una su tutte “Fortune favors the brave!” di Matt Damon – riempivano i magazine e le radio. I politici, incluso, ahimè, Eric Adams il sindaco di New York, si affannavano per allinearsi a quello che sembrava essere un fenomeno di portata storica e dai risultati imminenti. Agli scettici, tra cui il sottoscritto, veniva semplicemente detto che non capivamo cosa stava accadendo.

Tuttavia da quel momento in poi i costi delle risorse crittografiche (crypto assets) sono crollati e numerose organizzazioni (crypto institutions) sono fallite. L’implosione di FTX, che pare abbia utilizzato i soldi degli utenti per sostenere un’altra azienda correlata, ha destato grandissimo scalpore, ma si tratta solo di uno dei tanti fallimenti a cui stiamo assistendo. E l’elenco cresce di giorno in giorno.

In molti affermano che stiamo attraversando solo una fase negativa (crypto winter). Io invece penso che stiano sottovalutando il fenomeno, che invece assomiglia di più al Fimbulwinter, l’inverno senza fine che secondo la mitologia norrena, precede la fine del mondo. La fine del mondo crypto.

Non solo la fine delle criptovalute, ma dell’intera idea di organizzare la vita economica attorno alla famosa “blockchain”.

E la vera domanda è: perché così tante persone – non solo piccoli investitori ingenui, ma anche importanti attori finanziari e imprenditoriali – hanno creduto che questa cattiva idea fosse l’onda su cui basare il futuro economico della nostra società?

Una blockchain è un libro mastro digitale associato a un asset, che registra la cronologia delle transazioni in quell’asset: chi l’ha acquistato da chi e così via. L’asset potrebbe essere un token digitale come un Bitcoin, ma potrebbe anche essere uno stock o per esempio un oggetto fisico come un container. I registri, ovviamente, non sono una novità. La particolarità delle blockchain è che i registri dovrebbero essere decentralizzati: non si trovano sui computer di una singola banca o azienda, ma sono di dominio pubblico, supportati da protocolli che permettono a molte persone di conservare questi record su molti server. Appunto decentralizzati.

Questi protocolli sono, dicono tutti, estremamente intelligenti. E io ci credo. Ma la domanda a cui non ho mai ricevuto una risposta soddisfacente è: “What’s the point?” Perché prendersi la briga di realizzare una blockchain, sostenere ingenti costi per mantenere un libro mastro decentralizzato e portarlo in giro ogni volta che ha luogo una transazione?

La motivazione principale che stava alla base della nascita di Bitcoin era che avrebbe eliminato il bisogno di fiducia (need fot trust): non dovrai più preoccuparti delle banche che rubano i tuoi soldi o dei governi che ne gonfiano il valore. Anche se detta tra noi le banche raramente rubano i beni dei loro clienti, mentre le istituzioni crypto cadono molto più facilmente in tentazione e l’inflazione estrema che azzera il valore del denaro generalmente si verifica solo nel caos politico.

Tuttavia, c’era anche un altro motivo, meno ambizioso, per l’utilizzo della tecnologia blockchain e di tutte le altre criptovalute: offrire un modo più economico e più sicuro per tenere traccia delle transazioni economiche e delle cose in generale. Ma anche questo sogno sembra svanire.

Nel clamore e frastuono per il fallimento di FTX, non sono sicuro di quante persone abbiano realmente notato che le poche aziende e istituzioni che negli ultimi anni hanno provato seriamente a utilizzare le blockchain si sono arrese.

Cinque anni fa la borsa australiana annunciò che stava pianificando di utilizzare una piattaforma blockchain per regolare le negoziazioni. Due settimane fa ha annullato il progetto, cancellando 168 milioni di dollari di perdite. Maersk, il gigante delle spedizioni, ha annunciato che sta riducendo i suoi investimenti relativi a una blockchain che dovrebbe gestire le catene di approvvigionamento. Un recente post di Tim Bray sul suo blog, ex-dev Amazon Web Services, ci spiega perché Amazon abbia scelto di non implementare una propria blockchain perché non è riuscita a ottenere una risposta diretta alla domanda: “la blockchain è davvero utile?

Allora come mai il mondo cripto, che non è mai stato sottoposto a grandi controlli, è diventato così importante? Probabilmente è stata una combinazione di fattori. L’ideologia politica ha giocato un ruolo importante: non tutti gli appassionati di criptovalute erano e sono di destra, ma la sfiducia nelle banche e nel denaro gestito dai governi ha fornito un grande sostegno. Anche lo storytelling sulla complessità di questa tecnologia ha giocato un ruolo importante e l’incomprensibilità per molti delle dinamiche cripto ha agito come punto di forza. E poi, con l’impennata dei prezzi, la paura di perdere l’occasione di diventare ricchi – in aggiunta ai grandi investimenti in marketing e all’acquisto di influenza politica – ha portato molti altri nella bolla.

È una storia incredibile, ma anche una tragedia. Non sono solo i piccoli investitori ad aver perso gran parte, se non tutti, i risparmi di una vita.

La bolla delle criptovalute ha avuto costi enormi per la società nel suo complesso.

Il solo mining di Bitcoin consuma una quantità di energia pari a quella di molti Paesi. Ho cercato di stimare il valore delle risorse consumate per produrre token fondamentalmente privi di valore, e probabilmente si tratta di decine di miliardi di dollari, senza contare i danni ambientali. Se si aggiungono i costi associati ad altri token e le risorse bruciate nei tentativi falliti di applicare un approccio blockchain a tutto, probabilmente stiamo parlando di sprechi su scala epica.

Senza dubbio molte persone continueranno a insistere sul fatto che sono io che non capisco la portata del fenomeno cripto. Anche se a me sembra che non ci sia proprio nulla da capire.

In poco più di 100 chilometri

Sono esattamente 115 i chilometri che separano la Reggia di Caserta dal Parco Archeologico di Paestum. In altre parole in poco più di 100km in Campania abbiamo un numero incredibile di luoghi storici, naturali, siti culturali, museali e città come probabilmente nessun altro luogo al mondo.

Ci vorrebbero settimane, se non mesi, per visitarli e ammirarli tutti. Dalla Reggia di Caserta ai parchi archeologici di Pompei, Ercolano, Oplonti, Cuma. Dalla costiera amalfitana a quella cilentana. Le tre isole, il Vesuvio, Napoli, Salerno, Positano e vabbè potrei continuare a lungo.

Eppure per quanti turisti arrivino sono sempre meno di quelli che vanno in Francia o Spagna. Per quanto Napoli sia bella accoglie meno turisti di Cracovia o Creta. Per quanto Pompei ci sembri invasa da turistia accoglie meno della metà dei turisti del museo astronomico di Washington (bello, per carità, però dai).

La risposta sta in alcuni fattori che niente hanno a che vedere con la #bellezza perché noi siamo pieni di bellezza.

I fattori che gli altri hanno e noi no sono l’organizzazione maniacale, la programmazione, la visione, la competenza decisionale inversamente proporzionale all’incapacità politica.

Tutto ciò ci pone in posizione di inferiorità nei settori del marketing, della programmazione, dei servizi alla persone, accoglienza, accessibilità, innovazione digitale e via discorrendo.

Non vorrei sembrare pessimista, non lo sono per nulla, ma cercando di essere obiettivi possiamo dire che abbiamo infinite potenzialità ma bassissime possibilità di realizzarle in queste condizioni.

Se volete possiamo parlarne e approfondire, ma se non partiamo dalle nostre lacune non potremo mai raggiungere gli obiettivi che auspichiamo di raggiungere.

Anatomia di un profilo Fake

Già prima della guerra e della pandemia i social network erano infestati da troll, fake, bot e disturbatori di varia natura, tuttavia negli ultimi tempi c’è stata una vera e propria invasione di natura chiaramente artificiale per disinformare, destabilizzare e provare a orientare l’opinione pubblica. Ma partiamo dall’inizio e cerchiamo di fare chiarezza.

Cos’è un fake?

Un fake – dall’inglese falso, contraffatto, alterato – è un profilo social fasullo creato con l’obiettivo di spacciarsi per qualcuno che non si è o per falsificare/nascondere la propria vera identità.

La prima vera distinzione da fare è sulla natura di chi crea un fake: possono essere persone reali oppure i fake possono essere opera di bot, programmati per compiere azioni simili a quelle di un essere umano. Questi fake bot – senza scendere troppo in tecnicismi – possono commentare, condividere, partecipare alle varie attività sui social media proprio come farebbe un profilo reale. Poiché sappiamo bene che gli algoritmi delle piattaforme social tendono a preferire i contenuti che “riscuotono successo” l’utilizzo dei fake bot può orientare l’opinione pubblica incrementando o diminuendo artificalmente la visibilità dei vari post.

L’altra categoria di fake, secondo me molto più pericolosa e odiosa, è quella costituita dai profili falsi creati da utenti reali, i quali si nascondono dietro account vuoti creati ad hoc per disinformare, disturbare, insinuare, diffondere fake news. In questi casi abbiamo persone in carne ed ossa (spesso molto capaci, competenti e dotate di grandi risorse) che provano deliberatamente ad alterare il dibattito pubblico. L’utente medio dei social – pensiamo a una zia over 70 – non riesce a individuare gli account falsi, quindi interagisce con loro ed è portato a ritenere veritieri i contenuti da questi condivisi. Si tratta di un circolo vizioso indotto strategicamente da chi ben conosce le dinamiche social e i meccanismi neurocomportamentali degli utenti social. Insomma, certe cose non capitano per caso.

Come riconoscere un fake?

Un occhio esperto riconosce immediatamente un fake, chi non lo è però può far attenzione a questi semplici consigli:

  • bio e descrizione del profilo poco curate, incomplete o addirittura inesistenti
  • tanti follower e pochi seguaci (following)
  • i seguaci a loro volta hanno una conformazione simile (tanti follower, pochi seguaci, niente bio)
  • pochi post, pochi commenti e bacheca vuota
  • i post vertono solo su un argomento

Successivamente è possibile aggiungere ulteriori controlli più specifici come l’analisi delle foto pubblicate e dei post pubblicati, lo scan della foto profilo, condivisioni e commenti. Tranquilli, è più semplice a farsi che a dirsi.

Esempio 1

Prendiamo Gian Pietro Matti che ha una forte simpatia per Putin proporzionale all’antipatia che prova per Zelensky come dimostra chiaramente il seguente commento.

Entrando nel profilo di Gian Pietro Matti possiamo osserva che trattasi di un maschio particolarmente solo. Non ha una foto. Non ha amici. Non pubblica nulla. Ci tiene a informarci che è maschio.

La sua unica attività è quella di insultare chi non è filorusso e glorificare il suo mito che è Putin.

Interessante notare poi che l’unico suo follower è un certo Nino il quale a sua volta non ha foto, amici, bio. Insomma un altro uomo solo.

Esempio 2

Un altro esempio di fake molto interessante, perché più sofisticato, è quello di Mary che a differenza dei precedenti amici compie un notevole salto di qualità e ci mostra la foto profilo e una bio, tanti amici e numerosi post.

Tuttavia Mary ha compiuto alcuni errori che saltano facilmente all’occhio, il più macroscopico di tutti è quello di aver utilizzato una foto profilo falsa e per scoprirlo è stato davverso semplice. Basta scaricare la foto sul proprio pc e poi inserirla nell’apposito servizio offerto da Google (Search Image) per scoprire che la stessa foto è stata utilizzata per decine di profili fake. Evidentemente al creator piacciono le donne mediterranee.

Ovviamente ogni profilo presente in questa lista è un fake matrioska che al proprio interno nascone tanti altri account falsi. Da quest’ultima immagine già è possibile intravedere la potenza del fenomeno: una sola persona può creare una rete immensa che se utilizzata con dovizia può ottenere risultati stupefacenti. Avete mai sentito parlare della “Bestia“, la macchina del fango e/o fabbrica di popolarità social della Lega ideata da Morisi? No? Dovreste…

Se Elon Musk fosse una scimmia

Elon Musk ha acquistato Twitter per 44 miliardi di dollari, pari a 54,20 dollari per azione. Ormai non è più una novità. Ciò che però ancora non sappiamo è che cosa ci fare Musk con Twitter? In molti infatti temono una perdita di autorevolezza della piattaforma e dei passi indietro nella lotta alle fakenews.

Twitter al momento è considerato il social più attendibile e maggiormente attento alla veridicità delle informazioni. Probabilmente è vero (su quale social cerchi notizie affidabili e breaking news?). Tuttavia non penso sia dovuto all’attuale governance o a qualche policy specifica che regolamenta Twitter meglio di quanto accada su Facebook.

Twitter è usato ogni giorno da 200 milioni di persone nel mondo. Facebook arriva a 1,86 miliardi, circa 10 volte di più. Gli utenti di Twitter in media sono più istruiti e hanno maggiori competenze digitali. Su Facebook c’è la qualunque. Di conseguenza mi pare ovvio che su Twitter ci siano meno fakenews e ci sia meno terreno fertile per populisti e propaganda (anche se c’è, eccome se c’è).

Mi viene da sintetizzare che sono le persone che rendono libere le piattaforme e non viceversa.

Se Musk aprirà le porte ai populismi, allargherà le maglie dei controlli antibufale – cioè trasformerà Twitter in un’altra Facebook – gli utenti attuali dell’uccellino ne prenderanno atto e probabilmente si sposteranno da qualche altra parte. Non bisogna concentrarsi sulle piattaforma, ma sugli utenti e lavorare affinché questi acquisiscano le giuste digital soft skills: è necessario stimolare e promuovere la cultura digitale. Che belle parole: cultura e digitale.

Chiudo con una riflessione di Emir Sader:

Se una scimmia accumulasse più banane di quante ne può mangiare, mentre la maggioranza delle altre scimmie muore di fame, gli scienziati studierebbero quella scimmia per scoprire cosa diavolo le stia succedendo.

Quando a farlo sono gli uomini li mettiamo sulla copertina di Forbes.