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Chi sono

Il digitale è un fattore di cambiamento, ma non è il cambiamento. Il mondo lo cambiano le persone.

Mi chiamo Gabriele Granato e la mia passione per il marketing e le tematiche economico-sociali è nata negli anni del liceo, cioè da quando è esploso il desiderio di comprendere le dinamiche che muovono le “imprese” (di vario genere).
Amo tutto ciò che può migliorare la vita delle persone e sono convinto che il digitale rappresenti una leva fondamentale per uno sviluppo equo e sostenibile.

Il mio lavoro ruota interamente attorno al digitale e al modo in cui esso si integra, ibrida e alimenta le dinamiche sociali quotidiane. Quelle in cui le persone si stringono la mano e vivono esperienze in carne e ossa. Per intenderci.

Ruoli professionali

Attualmente ricopro il ruolo di Chief Marketing Officer (CMO) di Ellycode, azienda che ha sviluppato la piattaforma di Business Intelligence Elly. Grazie alla mia esperienza nel marketing e nella trasformazione digitale, il mio obiettivo è quello di rendere accessibili e semplici da utilizzare strumenti avanzati di business intelligence, supportando aziende e organizzazioni nella loro transizione verso una cultura data-driven.

Sono stato Presidente di Fare Digitale, un’associazione che promuove la diffusione della cultura digitale in Italia, con l’obiettivo di sensibilizzare sull’uso consapevole delle tecnologie digitali come leva per lo sviluppo economico, culturale e sociale del Paese. Credo fermamente che il digitale sia un fattore di cambiamento, ma che il vero cambiamento sia guidato dalle persone.

Nel 2012 ho fondato la 3d0, una digital factory specializzata in soluzioni IT, sviluppo e comunicazione digitale, dove ho maturato più di un decennio di esperienza nel supportare aziende e istituzioni culturali a raggiungere i propri obiettivi attraverso l’innovazione tecnologica.

Da ottobre 2020 sono il Presidente di Fare Digitale, associazione che si pone l’obiettivo di valorizzare e promuovere le diffusione della cultura digitale in Italia. Fare Digitale crede nella diffusione consapevole delle tecnologie digitali in tutti i settori della vita pubblica e privata, così da essere una leva fondamentale per lo sviluppo economico, culturale e sociale del Paese.

Docenze e formazione

Sono docente di Web Marketing e Comunicazione Digitale presso l’Università LUMSA, dove formo studenti sui temi del marketing digitale, della trasformazione tecnologica e dell’alfabetizzazione digitale. Ritengo che l’insegnamento sia un’opportunità non solo per trasmettere conoscenze, ma anche per apprendere dai giovani talenti.

Ho svolto l’incarico di docente a contratto per il corso Smart community, promozione e digitalizzazione del turismopresso l’Università degli Studi di Salerno da marzo a ottobre 2024.

Sono inoltre un Docente certificato di Google, titolo che attesta le mie competenze nell’utilizzo degli strumenti digitali per la promozione e la comunicazione.

Libri e pubblicazioni

Ho scritto tre libri dedicati al marketing culturale e dei musei:

  • “Inestimabile Valore – Marketing e fundraising per il patrimonio culturale” (Rubbettino, 2019), scritto con Raffaele Picilli.

  • “Fundraising e marketing per i musei” (Rubbettino, 2021), sempre in collaborazione con Raffaele Picilli.

  • “I musei salveranno il mondo” (Rubbettino, 2023), un invito a riflettere sul ruolo trasformativo dei musei nella società contemporanea.

Ho contribuito inoltre al libro collettivo “Trasformazione digitale e competenze per la network society”(FrancoAngeli, 2022), curato da Maria Prosperina Vitale e Davide Bennato, con un capitolo scritto insieme a Michele Aponte intitolato “Alla ricerca di un’alleanza digitale tra tecnici e umanisti”.

Ho scritto la prefazione del libro “Appunti di marketing e digitalizzazione per studi professionali” di Gianmaria Abbondante (2022), un testo che esplora l’importanza della digitalizzazione e del marketing nel settore professionale, con particolare attenzione all’ambito economico-giuridico.

Filosofia personale

Amo tutto ciò che riesce a migliorare la vita delle persone e credo fortemente nel digitale come strumento di sviluppo equo e sostenibile. Il mio obiettivo è creare valore attraverso il lavoro, l’insegnamento e la collaborazione con partner che condividono visioni e obiettivi comuni.

Le persone – e non le tecnologie – sono il vero motore del cambiamento.

Gabriele Granato

Il Branco che ammazza il Calcio!

Stimolato da un post molto interessante di Davide (Kawakumi) Basile mi permetto di dire la mia sulla nuova comunicazione della AS Roma per promuovere la campagna abbonamenti della stagione 2014/2015.

Come molti di voi ricorderanno a maggio ci furono dei terribili episodi che segnarono la finale di Coppa Italia, un ragazzo purtroppo perse la vita e le polemiche post-episodio raggiunsero livelli molto elevati.
Insomma, come è ben immaginabile, il clima che regna all’interno delle tifoserie non è dei migliori. Tra i tifosi romanisti e quelli napoletani è addirittura di guerra aperta.

Ad aggravare la situazione arriva in tackle la comunicazione ufficiale della società romana:

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Da umilissimo operatore (ecologico) della comunicazione mi permetto di esprimere tutto il mio disappunto per tale scelta.

In un clima di tensione, rabbia, disagio sociale e così andando avanti, utilizzare i termini “branco” e “caccia“, mostrare i denti, ringhiare, utilizzare le immagini (a destra e a sinistra) di lupi rabbiosi è chiaro che si voglia lanciare un messaggio molto forte, non certo di distensione. 

D’altra parte c’è da dire che coloro che hanno realizzato questa discutibile comunicazione hanno fatto delle ricerche, hanno studiato il target, hanno cercato di solleticare coloro i quali che poi acquisteranno gli abbonamenti.
Insomma conoscono il vero animo dei tifosi.

In conclusione, noi (operatori ecologici di cui sopra) siamo co-responsabili della crisi del sistema calcistico, ne siamo parte integrante: a molti fa comodo la guerra, l’odio, l’anti-sportività.

Il problema, come sempre, siamo noi.

Tutti quanti noi, che quando ci uniamo in branco, invece di fare squadra, facciamo sempre delle gran cazzate!

nuova

 

Il gioco di squadra

Non la finanza. Né la strategia. Né la tecnologia.
È il lavoro di squadra il vantaggio competitivo fondamentale di ogni azienda.

Anche le persone più capaci, brillanti, di maggior talento, se non sanno fare gioco di squadra, se non sono capaci di entrare in empatia con gli altri membri del team, possono risultare più dannose che utili per l’organizzazione di cui fanno parte.

Se tu riuscissi a far remare nella stessa direzione tutte le persone che appartengono ad un’organizzazione, potresti dominare qualsiasi settore, in qualsiasi mercato, contro qualunque concorrenza, sempre.

Tuttavia il buon gioco di squadra, quello che funziona, quello che permette ai team di raggiungere grandi obiettivi e di fare realmente la differenza, è molto raro da vedere.
Questo perché nei team aziendali sono sempre in agguato cinque disfunzioni – ben note a chiunque si sia trovato a far parte di un team di lavoro – che causano litigi e incomprensioni, allontano gli obiettivi e generano fallimenti:

  1. mancanza di fiducia
  2. paura del conflitto
  3. mancata assunzione degli impegni
  4. fuga dalle responsabilità
  5. poca attenzione ai risultati

5-DISFUNZIONI

Assenza di fiducia

La prima disfunzione è l’assenza di fiducia tra i membri del team.
Sostanzialmente essa deriva dalla indisponibilità a essere vulnerabili nel contesto del gruppo. I membri del team che non sono sinceramente aperti l’uno con l’altro sui propri errori e sulle proprie debolezze impediscono di creare i fondamenti per la fiducia.

Paura del conflitto

Non riuscire a costruire la fiducia è dannoso perché prepara il terreno alla successiva disfunzione: la paura del conflitto.
I team che mancano di fiducia sono incapaci di dedicarsi a un dibattito di idee non filtrato e appassionato. Al suo posto ricorrono discussioni velate e commenti guardinghi.

Mancanza di impegno

La mancanza di un sano conflitto è un problema perché induce la terza disfunzione di un team: la mancanza di impegno.
Se non hanno dato voce alle proprie opinioni nel corso di un dibattito accalorato e aperto, i membri del team prendono raramente, se mai lo fanno, a cuore le decisioni sebbene possano ostentare accordo durante la riunione.

Sottrarsi alle responsabilità

A causa della mancanza di impegno e partecipazione, i membri del team tendono a sottrarsi alla responsabilità.
Senza dedizione a un vero piano d’azione, anche le persone più concentrate e determinate spesso esitano a richiamare i propri compagni su azioni e comportamenti che sembrano controproducenti per il bene del team.

Disattenzione ai risultati

Non riuscire a considerarsi l’un l’altro responsabili crea un ambiente dove la quinta disfunzione può prosperare.
La disattenzione ai risultati si verifica quando i membri del team mettono le proprie esigenze individuali (come l’ego, i problemi personali o l’avanzamento di carriera) al di sopra degli obiettivi comuni del team.

Come una catena con una sola maglia rotta, il lavoro di squadra si deteriora se si permette anche a una singola disfunzione di prosperare.

Tratto e liberamente adattato da “La guerra nel Team”

Papa 3.0

Signore e signori, vi presento il Papa.
Quello vero, eh 🙂

Che mito pazzesco!

papaQuesto tweet è apparso sul profilo di Papa Francesco su Twitter in occasione della prima giornata dei Mondiali Brasile 2014.

 

Sogna poco che devi vivere!

L’eccitazione da Start up, la disoccupazione dilagante, l’incertezza del domani sono tutti fattori che spingono le persone a dover trovare strade nuove. Spesso reinventandosi, riprendendo dal cassetto vecchi progetti, passioni dimenticate, scommettendo il tutto per tutto.

Se non ci sono alternative è giusto farlo, e a loro va tutto il mio apprezzamento ed un grande in bocca al lupo.

Poi ci sono i giovani, quelli a cui la vita ha voluto regalare anni di incertezze e di sbandamento.
Dopo il diploma che si fa? Beh l’università.
Dopo la laurea che si fa? Beh un master.
Dopo la masterizzazione che si fa? Beh uno stage.
E dopo? Beh in assenza di altro che ne dici di una bella Start up?

Massì la Start up è la risposta giusta che offre la giusta dose di speranza: puoi essere il nuovo Stiv Giobs, puoi guadagnare soldi a palate direttamente dalla tua stanzetta e poi ci sono tutti questi incubatori/innovatori/fuffatori pronti a darti una mano… e come ti incubano loro puoi stare tranquillo, sono dei professionisti 🙂 !

Poi ci sono gli adulti insoddisfatti, quelli che si accorgono che vogliono stare da un’altra parte, essere un’altra persona e fare cose diverse rispetto a quelle fatte negli ultimi 30 anni.
Anche per loro ultimamente la risposta è credere nei propri sogni, se puoi sognarlo puoi farlo, se ci credi ci riuscirai.
Gianni Morandi avrebbe detto “dai che ce la fai!“.

Anche a tutti loro va il mio in bocca al lupo.

Tuttavia mi permetto di consigliare loro di capire che la vita non è un sogno.
La vita è disciplina, la vita è responsabilità, la vita è fatta di doveri nei confronti dei figli, della famiglia, degli amici e dei colleghi di lavoro.
Non tutti possono permettersi di sognare, e se proprio vogliono farlo, bisogna essere moderati.

Sogna poco che devi vivere!

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Il giro di campo che ha commosso il mondo

Immagini toccanti quelle di Glasgow, dove i neo campioni di Scozia del Celtic hanno festeggiato il titolo conquistato davanti al proprio pubblico.
Ad un certo punto l’allenatore Neil Lennon regala la sua medaglia a un piccolo tifoso a bordo campo.
La gioia del bimbo down, in braccio al padre, è incontenibile e contagiosa. Ma il bello per lui deve ancora venire: il capitano della squadra Giorgos Samaras, infatti, lo prende in braccio per un giro di campo davvero emozionante.

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